05.05.2014
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SABATO SI E'
SVOLTA IN MUNICIPIO LA settima "Giornata della Memoria dei giornalisti
italiani uccisi dalla mafia e dal terrorismo"
«Io
avevo dieci anni...». La frase resta sospesa, manca la parte facile da
intuire: «Quando uccisero papà». Poi Fulvio Alfano, figlio del
giornalista Giuseppe (ammazzato dalla mafia siciliana nel '93), è
sopraffatto dall'emozione. Ringrazia, torna al suo posto. Dei molti
interventi di ieri nell'aula del Municipio - prestata alla settima
Giornata della Memoria dei giornalisti italiani uccisi dalla mafia e dal
terrorismo - quello di Fulvio Alfano è forse il più toccante.
L'iniziativa nazionale, organizzata in concomitanza con la Giornata
mondiale per la libertà d'informazione indetta dall'Onu, si è svolta in
città. Ha curato questa settima edizione l'Unci (Unione nazionale
cronisti italiani) d'intesa con la Federazione nazionale stampa italiana
e l'Ordine dei giornalisti, con l'alto patronato della Presidenza della
Repubblica. C'erano i rappresentanti degli organismi di categoria,
c'erano i familiari delle vittime: cronisti uccisi perché scrivevano la
verità. «Assassinati la prima volta con i proiettili», ha detto Elena
Fava, figlia di Giuseppe (ammazzato a Catania nel 1984), «e poi con la
maldicenza: parlavano di delitto di donne, o di omosessuali». Nel suo
caso si sarebbero aggiunti anche magistrati («qualcuno c'è, come in ogni
categoria») che non facevano il proprio dovere. Mimma Barbaro, poco
prima, aveva sottolineato: «Io non sono la vedova di Mario Alfano: io
sono sua moglie. Non è morto». Giulio Francese parla dell'assassinio
mafioso di suo padre Mario (a Palermo nel '79), che all'epoca scriveva
di un Totò Riina in ascesa: «Io e mio fratello Giuseppe ci siamo spesi
tanto perché si arrivasse alle condanne. Appena ottenute, mio fratello
ha ritenuto che la sua vita non avesse più uno scopo, e se l'è tolta».
Aperta dal presidente del Consiglio comunale, Ninni Depau, la Giornata è
stata coordinata dalla presidente del Gruppo sardo dell'Unci: «I
giornalisti», ha ammonito Maria Francesca Chiappe, «sono intimiditi non
solo con le armi da fuoco, ma anche con la mancanza di norme che li
tutelino dalle querele temerarie. I cronisti, soprattutto di piccole
testate, sono minacciati con cause da centinaia di migliaia di euro
annunciate da chi è potente». Ci sono minacce e minacce: «Da noi»,
rivela Angeliki Gypaki, vice presidente del sindacato dei giornalisti di
Atene, «non c'è la criminalità che spara, ma quella economica».
Concorda Enzo Iacopino, presidente dell'Ordine nazionale dei
giornalisti: «Per onorare i giornalisti morti», ha detto, «si devono
onorare quelli vivi: tutelandoli». Chi scrive, deve avere coraggio:
«Nella formazione professionale continua», dice Filippo Peretti,
presidente dell'Ordine sardo, «proporrò di inserire anche le lezioni di
coraggio». Francesco Birocchi, presidente dell'Associazione della stampa
sarda: «Fortunatamente non ci sono omicidi di giornalisti nell'Isola, ma
gli attentati e le intimidazioni non si contano». I cronisti assassinati
in Italia «sono stati 30 dal 1960 a oggi», ha detto Guido Columba,
presidente nazionale dell'Unci: ieri sono stati ricordati uno per uno».
Franco Siddi, segretario della Federazione nazionale della stampa, ha
insistito sul fatto che il giornalismo è sempre più precario, come lo
sono i diritti dell'informazione.
Breve, intenso l'intervento di Paolo Piccinelli: suo padre Mario fu
gambizzato dalle Brigate rosse a Torino nel '79, ma sopravvisse: è
mancato quest'anno. «Io e mia sorella eravamo bambini, vedemmo tutto
dalla finestra. Un appuntato dei carabinieri si tolse la camicia e la
legò alla gamba più malconcia di papà, salvandogli la vita. Ora mia
sorella fa la giornalista», conclude Paolo Piccinelli. Lui no. Lui, ora,
è un colonnello dei carabinieri.
Luigi Almiento (articolo tratto da L'Unione Sarda del 4 maggio
2014)
foto di Mario Rebeschini