15.12.2014
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ASSOSTAMPA SARDA, relazione del
Presidente uscente FRANCESCO BIROCCHI
Pubblichiamo il testo della relazione di
Francesco Birocchi, Presidente uscente dell'Assostampa sarda.
L’accordo tra Azienda e Sindacato stipulato
a Roma in sede Fieg il 21 ottobre scorso per un “Piano di
riorganizzazione produttiva” dell’Unione sarda, segnerà probabilmente lo
spartiacque fra due fasi storiche dell’editoria giornalistica in
Sardegna. Per la prima volta, infatti, il più diffuso quotidiano
dell’Isola dichiara, di fatto, lo “stato di crisi”, individua 17 esuberi
e intende far ricorso ai prepensionamenti per ridurre il numero dei
giornalisti in redazione. A questo si aggiunge la decisione, comunicata
dall’editore Sergio Zuncheddu al Sindacato (il 10 novembre), di proporre
il contratto di solidarietà per tutti i giornalisti della redazione di
Videolina, appartenente allo stesso gruppo editoriale dell’Unione sarda.
Sono decisioni pesanti
che creano disagio fra i colleghi, prevedono sacrifici e aprono la
strada a un futuro impegnativo. Perché lo stato di sofferenza, ormai è
chiaro, non può essere definito solo “congiunturale” (legato al lungo
periodo di recessione economica generale) ma appare invece “strutturale”
(conseguenza dell’evoluzione dei mezzi di comunicazione). Tornerò su
questo aspetto perché lo considero centrale nell’elaborazione di
qualunque progetto editoriale credibile.
Dunque uno spartiacque.
L’Unione sarda (fondata nel 1889) ha compiuto 125 anni e Videolina
(fondata nel 1975) ne compirà 40 il prossimo anno. Sono due realtà che,
pur nelle profonde differenze di storia, dimensione e ruolo, hanno
vissuto (sino 5 o 6 anni fa) un’evoluzione costante di crescita. Frutto
di scelte editoriali coerenti con la richiesta di informazione che
proveniva dalla platea dei lettori e telespettatori della Sardegna. I
risultati di diffusione dell’Unione e le performance straordinarie dei
dati d’ascolto di Videolina hanno decretato negli anni un successo
editoriale che appariva consolidato e immutabile.
E invece, secondo
l’editore dell’Unione sarda, “il protrarsi delle negative congiunture
dei mercati in generale e di quello editoriale in particolare, ha
significativamente influenzato e continua a influenzare negativamente il
risultato d’esercizio dell’azienda a causa della rilevante contrazione
dei ricavi della vendita delle copie in edicola e degli spazi
pubblicitari, questi ultimi sia per il calo della pubblicità locale che
per quella nazionale”.
La risposta è stata il
taglio progressivo degli organici. L’Unione è passata in pochi anni da
più di 70 redattori agli attuali 59 e, dopo i prepensionamenti (e le 6
assunzioni previste dal contratto), si troverà con 52 giornalisti in
redazione (direttore compreso).
Analogamente, per
Videolina, (che di giornalisti ne ha 19) l’editore punta l’indice sul “protrarsi
delle negative congiunture dei mercati in generale e di quello
televisivo in particolare, che ha significativamente influenzato e
continua ad influenzare negativamente il risultato d’esercizio
dell’azienda a causa della rilevante contrazione dei ricavi della
vendita degli spazi della pubblicità, oltre alla riduzione dei
contributi di cui alla legge 448/1998 e la significativa riduzione della
pubblicità istituzionale regionale”.
Fattori esterni
incontestabili, certo, ma sicuramente non responsabili unici della
situazione attuale, pure correttamente certificata nei bilanci. Non mi
pare ne’ utile ne’ opportuno, peraltro, riaprire qui vecchie polemiche
su taluni investimenti e su scelte imprenditoriali che hanno portato, in
passato, il Comitato di redazione dell’Unione sarda a ferme prese di
posizione, anche pubbliche.
Credo che sia
importante però affrontare con grande serietà il tema del futuro di
queste aziende, perché sono convinto che le scelte editoriali di Unione
e Videolina saranno decisive, non solo per le due aziende editoriali, ma
contribuiranno a ridisegnare il quadro dell’informazione in Sardegna nel
suo complesso. Dico di più: saranno importanti anche per il futuro
dell’informazione locale nel nostro Paese.
Il Sindacato ha detto
all’editore che i colleghi di Videolina non si sarebbero certo sottratti
ai sacrifici richiesti e che li avrebbero affrontati con l’impegno e la
professionalità sempre dimostrati, ma che la loro vera preoccupazione
riguarda i progetti editoriali che spetta all’azienda mettere in campo,
per superare il momento difficile ed attrezzarsi per affrontare le sfide
che le nuove frontiere del comunicare propongono con forza.
Innovazione di prodotto
e di processo
D’altra parte sono
molti gli economisti che denunciano la politica degli imprenditori
italiani (non solo degli editori), i quali stanno affrontando la
depressione economica puntando sull’innovazione di processo e
trascurando l’innovazione di prodotto. E non è certo un luogo
comune riaffermare che gli investimenti in innovazione, tecnologia e
ricerca sono invece i motori fondamentali della crescita dei sistemi
economici.
Non basta intervenire
sui processi, con politiche gestionali sempre più rigide e con
l’introduzione dei sistemi di lavoro sempre più avanzati consentiti
dalle nuove tecnologie. Questo l’Unione e Videolina lo hanno fatto e lo
stanno facendo (d’accordo con il sindacato) ma non è stato e non sarà in
grado di portare le aziende fuori dalla crisi.
Quando parlo di
innovazione di prodotto (o di servizio in questo caso) penso invece a
prodotti informativi nuovi per tecnologia e contenuti, con
caratteristiche tecniche e funzionali in linea con i nuovi strumenti
della comunicazione e aderenti alle diete mediatiche delle nuove
generazioni. Senza indebolire la qualità dei contenuti, anzi
rafforzandola. Senza disperdere il grande patrimonio dei media
tradizionali, che vanno sostenuti con convinzione, esaltando le grandi
potenzialità che sono ancora in grado di esprimere.
Il tema
dell’innovazione di prodotto, o meglio, del ritardo nell’innovazione,
riguarda l’intero sistema editoriale italiano: dalla carta stampata alla
televisione (pubblica e privata, nazionale e locale) e perfino la radio.
I giornali sono
sostanzialmente sempre uguali a se stessi per scelta e gerarchia delle
notizie, per il linguaggio e perfino nella titolazione. Solo la grafica
si è evoluta, ma con moderazione. E intanto i lettori scappano via. In
un anno (ottobre 2013/2014) il Corriere della sera segna un desolante –
10,7, la Repubblica -3,2. Solo il sole24 ore aumenta +22,6 (ma il dato è
dovuto alla performance dell’edizione on line).
Per quanto riguarda
noi, L’Unione sarda perde il 5,1 (-2539 copie ed una vendita scesa sotto
le 50.000, 49667) e la Nuova Sardegna ha perso il 6,9, pari a più di
3.000 copie, con una vendita di 44, 500, 44,497).
Il fatto è che i
quotidiani italiani (e anche i periodici) sono fatti per un target
che corrisponde grosso modo alla mia generazione. Per me vanno
benissimo, ma non so se questo possa valere anche per chi studia o si
sta affacciando al mondo del lavoro e della vita sociale.
Futuro multimediale
Il ragionamento
riguarda, in linea di massima, anche la televisione e diventa decisivo
per la TV locale. L’innovazione è stata senza alcun dubbio la chiave di
successo della TV privata nel nostro Paese. Essa ha rappresentato, nel
bene e nel male, la rottura del monopolio, non solo delle frequenze ma
anche e, forse soprattutto, di quello dei contenuti.
Non sempre hanno
battuto la strada della qualità, è vero, Spesso televendite e programmi
insignificanti l’hanno fatta e la fanno da padroni sui canali privati
che, non a caso, vengono definiti “commerciali”.
Ho avuto la fortuna di
lavorare a Videolina nella stagione della sua affermazione. Una stagione
nella quale, pur con evidenti carenze tecniche e forse anche
professionali, ha mostrato ai sardi una Sardegna che non conoscevano, ha
fatto parlare le persone e non solo i politici, ha sollevato problemi e
polemiche. Ed è stato un successo straordinario.
L’emittente ha
continuato a migliorare, negli anni, nella tecnica e nelle
professionalità, la redazione è cresciuta. Ma, se posso dirlo, forse è
venuta meno la capacità di stupire, di mostrare (salvo che in poche
occasioni) quello che altri non mostrano, di andare a ricercare i
telespettatori con programmi intriganti e innovativi. Forse la nuova
dimensione ha comportato una sorta di burocratizzazione che ha
rallentato quel processo ideativo che è stato alla base del successo
iniziale.
Ora, per risparmiare,
l’editore ha deciso di tagliare la programmazione. Spero che si tratti
di una decisione provvisoria perché lì risiede una delle specificità
dell’emittenza privata: gli spazi che il Servizio pubblico non ha e non
potrà avere in sede locale. Sono spazi aperti che attendono di essere
occupati da giornalisti, artisti, persone di cultura con in più
l’opportunità di esplorare nuove frontiere tecnologiche, a partire dalla
piattaforma digitale che consente di operare nel campo dei prodotti
televisivi e multimediali insieme. E sono certo che arriverebbero anche
le soddisfazioni di bilancio.
Unione sarda e
Videolina, appartenenti da più di vent’anni allo stesso gruppo
editoriale, sono state finora realtà redazionali distinte per prodotto e
per mission. Ma il divenire del mondo della comunicazione le
indirizza decisamente verso una pianificazione sempre più interconnessa
L’azienda ha recepito
questa esigenza. Nell’accordo per l’Unione Sarda è detto che “l’evoluzione
tecnologica e la propensione del pubblico ad un utilizzo di tecnologie
innovative anche per la fruizione di notizie giornalistiche, rendono
indifferibile ed imprescindibile recuperare ed ottimizzare – anche
mediante sinergie da svilupparsi con le Consociate – la redditività
aziendale”. “Siffatti obiettivi (riduzione di costi, ottimizzazione
della redditività aziendale, consolidamento della diffusione della
propria testata storica), devono essere visti, peraltro, nell’ottica di
poter conseguire risorse per investimenti che consentano lo sviluppo di
prodotti informativi multimediali di qualità, rispondendo a quelle
esigenze di flessibilità e multicanalità sempre più richieste dal
pubblico”.
E per Videolina è
prevista, fra l’altro, la partecipazione alla piattaforma multimediale
con i contenuti “video” di cui dispone nell’ambio dei media del Gruppo
di riferimento, in modo da creare integrazioni e convergenze di prodotti
(testo,foto e video).
Pare dunque che i
presupposti per una innovazione di prodotto (o di servizio) facciano
parte delle linee progettuali aziendali. Ma l’impressione è che ci si
muova ancora a livello di presupposti, appunto. La fase progettuale
vera e propria è in ritardo, il sindacato non è stato sufficientemente
coinvolto. Non si sa nemmeno come saranno impiegati i giornalisti dell’
“Unione on line”, società per la quale il gruppo “Unioneditoriale”, di
cui fa parte, rifiuta qualsiasi confronto sindacale. Si sa che un certo
numero di colleghi, contrattualizzati prevalentemente con
l’Aeranti-Corallo, lavorano per il sito dell’Unione Sarda, sotto la
responsabilità del direttore Videolina, e collaborano stabilmente con
l’emittente anche nella conduzione dei notiziari. Una situazione
a-contrattuale per il sindacato. E questo preoccupa.
Carta stampata
Mi rendo conto di aver
parlato finora quasi esclusivamente di Unione e Videolina. Me ne scuso
con voi ma credo che i problemi che si agitano all’interno del più
grande gruppo editoriale della nostra isola siano, almeno in parte e
fatte le dovute proporzioni, simili a quelli di altri soggetti
editoriali
La Nuova Sardegna,
nonostante il calo delle vendite e dei fatturati pubblicitari, ha i
bilanci sempre in attivo ma continua ad erodere la sua redazione
giornalistica. Lo fa con i pensionamenti anticipati incentivati, quindi
in pieno accordo con i colleghi interessati. Ma chi va via non viene
sostituito e la redazione si riduce. I redattori sono 56 e, se partirà
una nuova campagna di incentivi, il loro numero è destinato a ridursi
ulteriormente.
La Nuova ha chiuso da
un anno l’edizione di Cagliari ed ha rinunciato alle pagine di cronaca
del sud Sardegna. Ciò che accresce la preoccupazione è che Nuova e
Unione stanno mettendo in atto una sorta di “disarmo concordato”,
rinunciando progressivamente alle “periferiche” e alle edizioni
territoriali. L’Unione ha risposto annunciando la chiusura delle
redazioni di Sassari e di Olbia. Si è ridotta così la concorrenza nel
territorio e sono spariti elementi importanti di pluralismo nella nostra
isola.
Le altre esperienze
sono naufragate. I giornalisti di EPolis, dopo il fallimento della
società, hanno usufruito per due anni della cassa integrazione e poi
(per altri due anni) dell’assegno di disoccupazione, sino ad ottobre.
Poi più niente.
Solo pochissimi dei 50
colleghi sardi di quella sciagurata esperienza editoriale hanno trovato
un lavoro stabile. Gli altri o hanno cambiato lavoro o sopravvivono
nella precarietà e con lavori occasionali da free lance. Il sindacato
continua ad assisterli nella difficile operazione di recupero crediti.
Dal fallimento (che ha avuto risolti penali) non è arrivato un solo
euro. Con fatica alcuni sono riusciti ad incassare parte del TFR dovuto
dai fondi di garanzia di Inps e Inpgi. Con il nostro istituto di
previdenza si è aperto un contenzioso per il recupero delle ultime tre
mensilità non pagate. Con argomentazioni che l’Associazione della stampa
giudica pretestuose, l’Inpgi non vuole corrisponderle ed ora appare
inevitabile il ricorso per via giudiziaria.
L’estate scorsa,
infine, il Tribunale ha dichiarato fallita la cooperativa di giornalisti
(in buona parte reduci da E Polis) che coraggiosamente avevano dato vita
ad una nuova testata, anch’essa, purtroppo dalla vita brevissima.
Emittenza
Il discorso
sull’emittenza privata è del tutto privo di elementi positivi. Dopo aver
vissuto un lungo periodo di crescita professionale e di peso complessivo
nell’informazione, le Tv private hanno subito la crisi economica
incapaci di reagire ed ora rischiano di scomparire. Di Videolina ho
parlato prima. Ed è stata l’unica a operare tentativi per restare sulla
piazza della comunicazione, mantenendo tutti i presupposti per un
effettivo rilancio. Il resto è desolazione.
Cinque giornalisti
professionisti e due tecnici dell’emittente privata “Cinquestelle
Sardegna” di Olbia sono stati licenziati il 1° dicembre. Erano da tempo
in cassa integrazione (alcuni a zero ore, altri al 50 per cento). Gianni
Iervolino. imprenditore nel campo delle lavanderie industriali e
proprietario della TV, non paga gli stipendi da almeno sette mesi
(nemmeno la quota a lui spettante dopo il ricorso alla cassa
integrazione), nemmeno ai quattro che sono rimasti nella redazione di
Olbia e anche l’INPS è in grave ritardo nel corrispondere la sua parte.
I colleghi non sanno più come andare avanti.
I licenziamenti segnano
un forte ridimensionamento della redazione e della sua presenza nel
territorio e sono conseguenti alla chiusura degli uffici di Sassari,
Nuoro e Cagliari. Noi sappiamo bene che la crisi dell’emittente dura da
circa 15 anni e non deriva solo da difficoltà oggettive (la depressione
economica ed i ritardi cronici nell’erogazione delle provvidenze
pubbliche dovute), ma è soprattutto conseguenza di una gestione
insufficiente, miope, non all’altezza della situazione.
Per anni è stato
chiesto inutilmente all’imprenditore un piano industriale. Il direttore
responsabile delle news (Giovanni Vindigni, pubblicista di Padova)
continua ad essere una sorta di ectoplasma, risiede in un’altra regione
e a Olbia non si vede mai. I giornalisti si sono messi a disposizione
per collaborare al rilancio dell’emittente, ma da parte dell’azienda non
vi è stata alcuna iniziativa, nessun progetto, nessuna idea innovativa.
Niente di niente. Solo tagli e stipendi non pagati. E ora gli errori e
le carenze dell’azienda e dei suoi dirigenti li pagano i lavoratori.
Il 10 giugno scorso si
è conclusa con una pesante sconfitta per il sindacato e per
l’informazione la vertenza a “Sardegna 1”. L'azienda ha completato la
procedura di riduzione di personale annunciata il 1° febbraio, con 12
licenziamenti (tre giornalisti e 9 tecnici). L’organico dell’emittente è
stato dimezzato. Subito dopo altri quattro giornalisti si sono dimessi
per “giusta causa”. Dopo due anni di contratto di solidarietà al 33 per
cento (accettati per evitare il licenziamento di quattro colleghi),
mensilità arretrate, anni di TFR e contributi non versati al fondo
integrativo, rapporti deteriorati con l’azienda, i giornalisti non
licenziati non se la sono sentita di proseguire.
La vertenza è stata
lunga e difficilissima. Poi, il 5 agosto dello scorso anno, la svolta
decisiva: il passaggio di proprietà. L'editore-banchiere, Giorgio
Mazzella, allora presidente di Banca di Credito Sardo (Gruppo Intesa) ha
ceduto per 4 mila euro le quote della società che controlla “Sardegna 1
Tv” a Sandro Crisponi (amministratore delegato), ma ha mantenuto vivi i
crediti che dichiarava di vantare. Sono rimasti esclusi quindi dalla
vendita i supposti “finanziamenti” effettuati a suo tempo dalla vecchia
proprietà. Mazzella, dunque, pur non essendo più titolare di quote
societarie, ha mantenuto un interesse reale nella società.
Crisponi ha poi ceduto
il 19 per cento delle quote a Luigi Ferretti e il 10 per cento a Mario
Tasca. Il primo è il patron del circuito nazionale “7 Gold”, il
secondo un giornalista pubblicista che, assieme alle quote, ha acquisito
il ruolo di direttore responsabile della testata giornalistica.
La nuova proprietà ha
dichiarato da subito di non avere soldi per pagare gli stipendi. Il 1°
febbraio, con la scadenza del contratto di solidarietà, i nuovi
proprietari hanno quindi annunciato 13 licenziamenti per crisi
strutturale. Dal 4 ottobre del 2013 i lavoratori hanno dichiarato lo
stato di agitazione e da allora hanno messo assieme più di 150 giorni di
sciopero. L'obiettivo era quello di richiamare l'attenzione sulla
vertenza. Tanta la solidarietà raccolta, ma i lunghi mesi di lotta, di
manifestazioni pubbliche, di iniziative anche clamorose, non sono
bastati per convincere istituzioni e politica ad affrontare la
questione. Nessuna reazione al drastico ridimensionamento (praticamente
la scomparsa) di una voce storica dell'emittenza televisiva.
Solidarietà, dispiacere (magari anche sincero), ma nulla di più.
Successivamente
l’azienda ha fatto richiesta di accesso alla “procedura concorsuale”
bloccando così le azioni giudiziarie dei dipendenti per il recupero dei
loro crediti. I lavoratori hanno avanzato istanza di fallimento. Ora il
futuro dei loro crediti e dell’emittente è affidato ai giudici.
Il sindacato ha messo
in campo tutte le energie disponibili per evitare questa conclusione. E’
stato sempre vicino ai colleghi. Ha intavolato lunghe ed estenuanti
trattative con la controparte per limitare i danni e per creare le
condizioni di una ripresa. Che non c’è mai stata. Devo dare atto ai
sindacati confederali di aver condotto la vertenza con lealtà,
competenza e grande generosità. Non potrò mai dimenticare che, per far
rientrare i licenziamenti di quattro giornalisti, tutti i dipendenti
dell’emittente (compresi tecnici e impiegati che non rischiavano niente)
hanno accettato di ridursi lo stipendio con il contratto di solidarietà.
Li ringrazio pubblicamente di cuore e assieme a loro ringrazio i leaders
sindacali che si sono impegnati in prima persona nella vertenza. E’
stato davvero un momento significativo di solidarietà fra lavoratori.
Parallelamente non
posso non ribadire il disgusto per il comportamento
dell’editore-banchiere Giorgio Mazzella il quale, restando titolare di
un credito consistente, ha posto una pesante ipoteca sulla società,
anche dopo averla formalmente ceduta e aver passato ad altri l’onere
della gestione e quindi anche quello dei licenziamenti finali.
Ma, sinceramente, non
sono riuscito a comprendere l’atteggiamento dei colleghi i quali, negli
ultimi mesi della vertenza, non hanno accettato più alcun dialogo con
l’azienda.
Gli strumenti del
sindacato sono pochi ed il principale è il negoziato con la controparte.
Attraverso la trattativa possono essere imbastiti ragionamenti e
avanzate proposte alternative che spesso portano le aziende a rivede i
propri piani, evitare tagli improvvidi e dannosi, ricostruire ciò che
loro stessi avevano distrutto.
Ma per ottenere
risultati occorre avere idee e progetti ed avere l’occasione per
illustrarli compiutamente. E serve anche sagacia e molta pazienza.
Gli atteggiamenti di
chiusura da parte dei lavoratori (ancorché nati da evidenti provocazioni
e dalla sistematica insolvenza aziendale che rende difficile la vita dei
singoli e delle loro famiglie e quindi umanamente comprensibili)
bloccano ogni possibile azione sindacale e, in definitiva, avvantaggiano
la controparte. E per questo io non li capisco.
Chiudo il capitolo
emittenza privata parlando di Nova Tv di Oristano. Per i quattro
giornalisti (che erano 7 sino a tre anni fa) a novembre è scaduta la
cassa integrazione al 75%. L’azienda ha chiesto loro di lavorare 9 ore
la settimana (il 25% dell’orario contrattuale), in attesa di decidere
cosa fare. Una situazione disastrosa, frutto di imperdonabili errori di
gestione, a cominciare dall’insensata vendita delle frequenze che ha
privato l’emittente di una fetta importante delle provvidenze pubbliche.
Il futuro dei colleghi è appeso ad un filo, sottilissimo.
Lo stato di profonda
sofferenza riguarda anche la radio. Le interessanti esperienze
giornalistiche in questo mezzo, sempre molto seguito, pare abbiano
esaurito il proprio entusiasmo. Radio Press è fallita e i contratti
giornalistici sono praticamente spariti e quelli che restano sono meno
delle dita di una mano.
Nell’emittenza privata
in Sardegna, sino a pochi anni fa elemento importante di pluralismo e
fonte di lavoro, il numero dei giornalisti contrattualizzati è crollato
del 40 per cento. La maggior parte di quelli che sono rimasti (con il
cds a Videolina) sono destinati al ricorso agli ammortizzatori sociali
ed altri lavorano ad orario ridotto. C’è un’emergenza vera che sembra
non interessare affatto a istituzioni e politica. E questo è
inaccettabile.
Il Servizio pubblico
La redazione della Sede
regionale della Rai ha mantenuto pressoché intatto il proprio organico,
anche dopo che nell’estate dell’anno scorso, cinque giornalisti hanno
lasciato l’azienda con incentivazione ad anticipare il pensionamento.
Per la loro sostituzione l’azienda ha proposto ai giornalisti che
operavano nelle Reti di transitare nelle redazioni regionali con
contratto giornalistico. E’ così sbarcato in Sardegna un gruppo di
colleghi provenienti da altre città (in prevalenza Roma). Il sindacato
li tiene nella massima considerazione, naturalmente, ma non può non
rilevare amaramente che per i giornalisti sardi è sempre più difficile
trovare spazio nel servizio pubblico.
L’ultima selezione su
base regionale risale ormai a sei anni fa (ed ebbe, giova ricordarlo,
ottimi risultati in termini di professionalità dei nuovi assunti). Ora
si attende lo svolgimento di un'altra selezione, bandita da tempo, ma su
base nazionale. Non si sa tuttavia quando si svolgeranno le prove
previste e in molti comincia a montare il pessimismo.
Tutto ciò nonostante la
Regione abbia generosamente finanziato per anni la programmazione della
Sede regionale della Rai (con circa 400 mila euro all’anno). La
convenzione è scaduta e da un anno si attende che venga rinnovata. Ma
non si hanno notizie certe.
Certo che appare strano
che la Regione possa erogare finanziamenti ad un’azienda già ampiamente
sostenuta dal canone, mentre la situazione occupazione nell’isola è
drammatica, con TV, radio, On line e piccola editoria in agonia. Per
loro non c’è un soldo, mentre per la Rai i fondi si trovano.
Per quanto riguarda il
Servizio pubblico in Sardegna bisogna ricordare anche lo “stato di
disagio” denunciato dalla redazione che ritiene “in buona parte
riconducibile a una gestione personalistica e inadeguata da parte del
capo redattore”, ma che in realtà sembra avere ragioni più profonde.
On line
L’on line, che sembra
debba essere la nuova frontiera del lavoro giornalistico, continua ad
attrarre professionalità. Sono numerose le testate che operano nella
rete, anche con indici di qualità e di gradimento dell’utenza molto
interessanti. Ma il grande sforzo non corrisponde a risultati economici
tali da supportare la stipula di contratti di lavoro giornalistico. Poi
c’è il caso di Sassari notizie con 5 colleghi senza contratto. E si fa
largo la delusione.
Esistono per la verità
due importanti realtà che meritano l’attenzione sindacale per la qualità
del lavoro prodotto e per le prospettive che potrebbero avere. Una è
l’Unione on line, che cura il sito dell’Unione sarda ma, come abbiamo
visto, il sindacato fa fatica ad avere qualunque interlocuzione con
l’editore che consenta di conoscere la struttura giornalistica ed
eventuali progetti futuri.
L’altra è Tiscali, la
cui redazione lavora con eccellenti risultati ormai da una decina
d’anni. Anche lì tuttavia i problemi non mancano, soprattutto nella
sostenibilità di alcune iniziative specifiche che hanno prodotto quattro
contratti a termine, due dei quali però non sono stati rinnovati.
La politica
Questo è lo stato
dell’informazione in Sardegna. Dell’occupazione giornalistica parlerò
fra poco, ma ora mi interessa fare, assieme a voi, una riflessione che
credo non sia superficiale. Vista la situazione non pensate che esista
un “caso informazione” in Sardegna? Non pensate che sia necessaria
un’analisi seria sugli spazi e i mezzi nei quali i sardi possano
informarsi compiutamente? E se questi spazi e questi mezzi si
contraggono, vengono meno, vi sia un problema di conoscenza di quello
che accade nell’Isola e nel mondo? E, ancora, non pensate che se c’è
meno informazione e meno conoscenza degli accadimenti, viene menomata la
capacità dei cittadini-elettori di svolgere la loro funzione
democratica?
Io credo che questo sia
un pericolo reale. Abbiamo sempre pensato che la pluralità di mezzi di
informazione costituisca l’unica vera garanzia possibile di democrazia
compiuta. Allora è arrivato il momento di dire, con chiarezza e a voce
alta che il “caso informazione” non riguarda solo aziende editoriali e
giornalisti, ma riguarda tutti. Che c’è un rischio democratico, reale e
concreto nella nostra isola.
E se questo è vero, e
io sono sicuro che lo sia, la politica, gli uomini e le donne, che noi
abbiamo eletto democraticamente per amministrare la nostra regione
dovrebbero occuparsene, dovrebbero studiare il “caso” e predisporre gli
interventi opportuni perché la situazione cambi.
E invece no. Non lo
fanno. L’ultima legge regionale sull’editoria varata dal Consiglio
regionale è la n.22 del 1998 (14 anni fa). Il Consiglio regionale, anche
su sollecitazione dell'Associazione della Stampa, due anni fa ha
approvato importanti modifiche a quella legge (22/98) mettendo a
disposizione stanziamenti in regime di “de minimis” per sostenere le
cooperative di giornalisti.
Ma quella legge non è
mai stata applicata. Quei soldi non sono stati spesi. Due giornali hanno
chiuso (e invece con quei contributi sarebbero sopravvissuti) e alcune
iniziative editoriali sul web progettate da giornalisti disoccupati (cha
in quella legge avrebbero potuto trovare un sostegno decisivo) sono
abortite sul nascere.
Altre proposte di legge
sono state avanzate nella scorsa legislatura. Una in particolare (Misure
di sostegno e promozione dell’informazione locale e disciplina della
comunicazione istituzionale) era particolarmente interessante perché
aggiornava la 22 e sosteneva start up e iniziative sul web. Ma non è mai
stata discussa seriamente nemmeno in commissione.
Anche quest’anno è
stata presentata una proposta firmata da tutti i partiti presenti in
commissione informazione, ed è intitolata: Norme per l’istituzione di
un servizio pubblico regionale per l’informazione televisiva locale e
per la produzione di programmi per la valorizzazione della lingua, della
cultura e dell’identità sarda. E’ stata presentata il 17 luglio. E’
una buona proposta, anche se in alcuni passaggi (vistosamente premiali
verso iniziative che non lo meritano) dovrebbe essere emendata. Ma tutto
si è fermato. Il sindacato, come è d’uso in questi casi, non è nemmeno
stato sentito.
So bene che quando si
parla di rapporti fra informazione e politica si cammina su un terreno
accidentato. Perché spesso tra politici e giornalisti nascono relazioni
pericolose, perché gli interessi extraeditoriali assumono un peso
sospetto e perché non sempre la politica accetta la funzione di
vigilanza democratica dell'informazione.
Credo però che anche le
situazioni più insidiose possano essere superate positivamente. Basta
che i provvedimenti sull’informazione stiano all’interno di due precise
regole di garanzia: totale trasparenza e previsione di interventi
nell'ambito delle politiche attive del lavoro.
E invece niente.
L’editoria brucia, il “caso informazione” esplode in tutta la sua
drammaticità. E la politica risponde con il silenzio.
Pensate che la Giunta
regionale non ha neppure completato l’organico dell’Ufficio stampa.
E, a proposito di negli
Uffici stampa pubblici, il sindacato credo dovrà riprendere prestissimo
l’iniziativa perché i colleghi che ci lavorano non vengono
contrattualizzati, nonostante svolgano palesemente lavoro di natura
giornalistica, e perché sono troppe le inadempienze e le scorrettezze
che quotidianamente vengono compiute da dirigenti e funzionari
amministrativi.
Lo stato
dell’occupazione.
I numeri, come si sa, a
volte sono impietosi. E quelli sull’occupazione giornalistica nella
nostra Isola disegnano un quadro davvero problematico. Ecco la
situazione in sintesi.
Gli iscritti all’Ordine
sono 1982
·
467
professionisti
·
97
pensionati
·
29
praticanti
·
1369
pubblicisti
I giornalisti
contrattualizzati sono meno della metà dei professionisti iscritti
all’Ordine (45% circa)
·
215
contrattualizzati (professionisti e pubblicisti professionali di cui 155
uomini e 60 donne) Erano 282 cinque anni fa.
·
40
disoccupati Inpgi
·
3 in
Cassa integrazione
·
229
precari, free lance e disoccupati senza assegni
E’ quasi impossibile,
attraverso i dati in nostro possesso, stabilire quanti siano i
giornalisti free lance il cui reddito dalla professione giornalistica
sia uguale o superiore a quello del minimo contrattuale. Ma l’esperienza
ci induce a ritenere che il loro numero sia assai limitato.
La stragrande
maggioranza dei giornalisti contrattualizzati è iscritta al sindacato
(tranne tre). La situazione degli iscritti all’Associazione della stampa
è la seguente:
·
394
professionali (269 uomini e 125 donne)
·
892
collaboratori
·
82
pensionati
Questa è lo stato delle
cose e non è rassicurante. Aggiungo che l’indice di sindacalizzazione
(il rapporto tra iscritti all’ordine e iscritti al sindacato) nella
nostra regione, sebbene in contrazione, continua ad essere tra i più
elevati tra le regioni d’Italia. E’ una magra consolazione.
Anche le domande di
iscrizione all’Ordine sono in calo, segno che la nostra professione non
è più attrattiva nei confronti dei giovani. Sono in aumento invece le
cancellazioni di coloro che non riescono a trarre dalla professione una
retribuzione sufficiente.
La professione
Questi dati (che
peraltro sono speculari alla situazione nazionale) pongono al sindacato
e agli organi della professione. una serie di problemi sui quali
riflettere molto seriamente.
Il primo riguarda
l’Ordine. A livello locale Sindacato e Ordine hanno lavorato sempre di
comune accordo. E per questo devo ringraziare di cuore pubblicamente il
presidente Filippo Peretti. Ma la macchinosa e pesante organizzazione a
livello nazionale che non ha più ragione di esistere, così come finora
l’abbiamo conosciuta. Le sue funzioni sono state inoltre ridimensionate
con la riforma dell’azione disciplinare.
L’Ordine è un istituto
che si muove nell’ambito del diritto pubblico. La sua funzione primaria
è quella di vigilare affinché di iscritti agiscano, appunto,
nell’interesse pubblico. I dirigenti dell’Ordine non possono pertanto
sovrapporsi a quelli del sindacato. E’ pura demagogia.
L’ iscrizione
all’Ordine non comporta automaticamente ne’ l’assicurazione del lavoro
ne’ la garanzia dei livelli retributivi. Semmai, come avviene per altre
professioni, l’Ordine potrebbe stabilire tariffe minime al di sotto
delle quali gli iscritti non possono accettare incarichi di lavoro a
tutela della loro dignità. Ma questo nella nostra professione credo sia
improponibile.
La tutela occupazionale
e retributiva spetta al sindacato. E questo, pur con tutti i limiti, il
sindacato lo fa. So che sto toccando un tasto sensibile. So anche che
una delle accuse che viene mossa al sindacato è quella di tutelare solo
i lavoratori indipendenti a discapito degli autonomi.
E’ un discorso serio,
difficile, che però andrà affrontato dal sindacato, pena la sua
marginalizzazione. Certo non si può farlo con polemiche pretestuose o
addirittura con atteggiamenti aggressivi nei confronti dei dirigenti
sindacali.
Mi trovavo nei locali
della Federazione della Stampa, a Roma l’estate scorsa, quando c’è stata
l’irruzione di un gruppo di scalmanati che urlavano come bestie e che
cercavano a tutti i costi l’incidente. Solo la fermezza ed il buon senso
dei dirigenti sindacali presenti ha evitato il peggio.
Ho pensato, in
quell’occasione, alla desolazione di una categoria dilaniata dagli
scontri interni. Dal rifiuto del dialogo e della faticosa negoziazione
con le controporti, sostituita da manifestazioni urlanti in un muro
contro muro senza soluzione. Porterebbero sicuramente alla perdita dei
benefici e delle garanzie professionali ottenuti con la fatica di anni e
difese con altrettanta caparbietà.
No, non è questo il
modo per affrontare un problema che esiste (a volte con risvolti
drammatici), e che deve essere valutato ed affrontato con le armi del
ragionamento.
Cominciando a scindere
i vari aspetti, per dare risposte alle singole specificità
professionali:
·
I
contrattualizzati e i precari, per i quali occorre difendere ed
incrementare diritti e garanzie.
·
I free
lance, per i quali occorre aprire nuove opportunità, riaffermando il
valore della professione giornalistica.
·
I
collaboratori, che hanno diritto ad un equo compenso per le loro
prestazioni.
Il sindacato è già
impegnato a fondo su tutti questi versanti e il contratto che è stato
sottoscritto nel luglio scorso lo dimostra.
Perché preserva le garanzie
contrattuali esistenti, le estende al lavoro parasubordinato ed apre
nuove prospettive per il ricambio generazionale nelle redazioni.
La
riforma della cosiddetta “ex fissa”, salva un istituto destinato
altrimenti all’esaurimento. L’ingresso del rapporto di lavoro
parasubordinato (co.co.co.) nell’ambito del Contratto nazionale dei
giornalisti è un passo significativo per l’estensione delle garanzie
professionali anche ai giornalisti collaboratori. Le nuove norme che
facilitano l’assunzione di nuovi giornalisti garantiscono il futuro
delle redazioni, destinate altrimenti ad un graduale ed inesorabile
impoverimento degli organici.
L’accordo
contrattuale, infine, consentirà interventi significativi a sostegno
dell’editoria e la messa in sicurezza dell’INPGI, che potrà erogare le
prestazioni previdenziali e sostenere il peso della solidarietà in una
categoria sempre più provata dalla crisi economica.
Tutto
questo è scritto in un documento dell’Associazione della stampa sarda
che ribadisco qui parola per parola. E questo risultato è merito di
Franco Siddi, Segretario della Federazione della stampa, che lo ha
raggiunto grazie alla sua competenza, alla caparbietà e anche allo
spirito di tolleranza che lo contraddistinguono. Franco ha contrastato
quella parte di editori che il contratto non lo voleva farlo ed ha
resistito a pressioni interne al sindacato fortissime, fatte di
insulti, intimidazioni verbali, tentativi di delegittimazione personale.
Io ho
vissuto dall’interno la vicenda contrattuale e sono stato testimone di
ciò che ho appena detto. Credetemi, quando il contratto è stato firmato
dalla Giunta federale (anche se a maggioranza e non all’unanimità) per
me è stata una liberazione, la fine di un incubo.
Il
sindacato
A fine gennaio, come
sapete, la Federazione della stampa, celebrerà il suo congresso
nazionale. E di professione, di sindacato di contratto si parlerà a
lungo. Spetterà ai nuovi dirigenti sindacali affrontare una nuova fase
della vita centenaria del nostro sindacato che non si preannuncia ne
semplice ne facile da gestire.
Si sta alzando nel
Paese un vento poco favorevole al sindacato. Vecchio, inadeguato,
attento solo alla tutela di pochi, incapace di rappresentare la
complessità del mondo del lavoro, sono definizioni che si sentono
ripetere sempre più spesso come se fossero parole d’ordine.
Il Presidente del
consiglio, detta la linea. Parla di “disintermediazione”, termine
dispregiativo dei “corpi intermedi”, come è appunto il sindacato. Sembra
voglia toglierlo di mezzo perché lo considera un ostacolo alla sua
politica. Come fece Margaret Thatcher nell’85 con i minatori inglesi.
Perché sta tentando di
costruire un rapporto diretto fra capo politico e cittadini, senza
intermediazioni. Non so dire se il termine “media” che fa parte delle
parole “intermedi” e “intermediazione” sia finito anch’esso nel mirino
del premier. Ma non me ne stupirei affatto.
Questo modo di agire i
politologi lo chiamano “populismo” ed ha attecchito storicamente in
varie parti del mondo, specie in Sudamerica. Anche in Italia Silvio
Berlusconi ha tentato di introdurlo e sappiamo bene con quali risultati.
Su questo anche il
nostro sindacato dovrà vigilare nel futuro prossimo. Sulla politica del
lavoro, il “Jobs act”, il piano di riforme del governo Renzi su lavoro,
welfare, ammortizzatori sociali, pensioni e turnover, contratti, posti
di lavoro, disoccupazione, licenziamenti, giovani. Il piano che vuole
aumentare i posti di lavoro facilitando i licenziamenti. Sarò fuori
dalla realtà, ma io davvero non lo capisco.
Il fatto è che questa
“disintermediazione” pare piaccia anche a molti di noi giornalisti che,
evidentemente, considerano il sindacato un ostacolo, un’inutile
sovrastruttura, ormai superata. E rischiano di schiantarsi e di
distruggere anche quello che c’è, prima ancora di aver costruito il
nuovo. E anche questo io non riesco a capirlo.
L’Associazione della
stampa sarda
Sono molte, colleghi,
le cose che non riesco più a capire. E anche per questo che ritengo non
sia più rinviabile il ricambio al vertice del nostro sindacato
regionale. Ho fatto il presidente per 13 anni e prima ancora sono stato
vice presidente, segretario tesoriere, semplice componente del Consiglio
direttivo e dei Cdr di Tuttoquotidiano e della Rai. Il sindacato è una
parte di me, una parte importante.
Il sindacato mi ha dato
molto. La consapevolezza dei problemi, la conoscenza delle dinamiche del
mondo dell’informazione e del lavoro giornalistico. Un arricchimento
professionale che nessun altro avrebbe potuto darmi.
Mi ha fornito
l’occasione per nuove amicizie, l’opportunità di lavorare assieme a
persone splendide, serie, responsabili, innamorate del proprio lavoro
(come lo sono sempre stato anch’io).
Difendere e sostenere
il prestigio della professione giornalistica, della quale vado e andrò
sempre orgoglioso, mi ha fatto sentire dalla parte giusta. Il
giornalismo non è soltanto una bellissima professione, ma è un presidio
irrinunciabile di democrazia. E gli uomini e le donne che lo hanno
scelto come lavoro meritano enorme rispetto.
Se qualche risultato il
sindacato dei giornalisti sardi ha ottenuto in questi anni lo si deve a
voi, colleghi, che ci avete creduto.
Quando a me, nulla
avrei potuto fare senza la costante, preziosa, sincera amicizia di
Franco Siddi. Ho avuto il privilegio di essergli vicino nella sua ascesa
ai vertici del sindacato nazionale, di condividere con lui la
soddisfazione per i successi e la tristezza nei momenti difficili. No so
cosa gli riserverà ancora il futuro. Gli auguro di tagliare traguardi
sempre più prestigiosi. La nostra amicizia è solida e continuerà.
L’Associazione della
stampa sarda cammina con gambe sicure. I conti sono in ordine e credo
che la qualità dei servizi erogati sia di alto livello. E’ merito
esclusivo di Paola, Silvana e Silvia che tutti voi conoscete, perché
l’Associazione è diventata un punto di riferimento sicuro per tutti i
giornalisti sardi. Non saprò mai ringraziarle abbastanza.
Nei 13 anni della mia
presidenza ho lavorato con colleghi di prim’ordine, nell’Associazione
(cit.) in Consiglio Nazionale, con i CDR e con i colleghi impegnati
negli enti di categoria. Sono colleghi che non si sono risparmiati,
sempre pronti all’impegno e alla partecipazione generosa. Li ringrazio
tutti di cuore e, se posso aggiungerlo, anche con una buona dose di
affetto.
L’Associazione sarà
guidata, a partire da domani, da altri colleghi. Li conosco tutti a
partire da Celestino Tabasso (che certamente sarà il presidente). A lui
mi lega un’amicizia vera e nutro nei suoi confronti una grande stima.
Conosce bene il sindacato e i problemi del giornalismo. Ho grande
fiducia nella sua intelligenza e nella capacità di fare squadra.
Si, una squadra. Credo
che sia questa la ricetta per fare un buon sindacato. Chi non ama i
giornalisti, chi non crede nel loro ruolo, chi tenta di calpestarne la
dignità e i diritti, deve sapere che troverà sempre una squadra pronta
ad intervenire.
Cari colleghi che
guiderete l’Associazione della stampa, vi auguro con tutto ii cuore buon
lavoro e buona fortuna!
Francesco Birocchi (Presidente uscente)