13.02.2012 - Giornalisti pensionati della Sardegna: davanti alla grave crisi dell’occupazione e al fenomeno del precariato occorre agire con senso di responsabilità e spirito di solidarietà

Presidente e direttivo del Gruppo Sardo Giornalisti Pensionati sono stati confermati dall’assemblea regionale riunita a Cagliari lunedì 13 febbraio 2012 nella sede dell’Associazione della Stampa Sarda: Giovanni Perrotti, presidente, Carmelo Alfonso, vicepresidente, Giovanni Puggioni, segretario, e i consiglieri Paolo Baggiani, Franco Brozzu, Nanni Piredda e Franco Olivieri rimarranno in carica sino al prossimo Congresso dell’Unione Nazionale Giornalisti Pensionati. La decisione è stata presa all’unanimità dall’assemblea regionale in virtù delle modifiche allo Statuto (specificatamente agli articoli 2 e 9 con l’introduzione dell’articolo 9bis) approvate per far coincidere le scadenze dei mandati regionali con quelle nazionali. Sino ad oggi, infatti, i mandati regionali si concludevano con un anno di differenza rispetto ai nazionali.

L’assemblea del GSGP, a cui ha partecipato il segretario generale della FNSI, Franco Siddi, il presidente dell’Assostampa Francesco Birocchi e il presidente dell’Ordine regionale Filippo Peretti, ha inoltre esaminato i problemi più attuali della categoria mettendo in evidenza i gravi disagi dei pensionati con redditi bassi e dei giovani precari, veri “anelli deboli” a cui l’intera categoria deve venire incontro, rinunciando a posizioni di privilegio e manifestando concreta solidarietà. Il dibattito si è sviluppato sulla base della relazione, svolta dal presidente Gianni Perrotti, precedentemente analizzata e discussa, in tutti i suoi aspetti, dai componenti il Consiglio direttivo. Qui di seguito il testo della relazione.


Il Gruppo Sardo dei Giornalisti Pensionati non può ignorare la crisi economica senza precedenti, che provoca drammatiche ripercussioni sul mondo del lavoro. Crisi che non risparmia il settore dell’informazione. Con sempre maggiore frequenza si assiste alla chiusura di testate o alla drastica riduzione degli organici redazionali, mentre schiere di giovani professionisti rimangono in attesa di contratti improbabili. Fenomeni che coinvolgono non soltanto organi d’informazione regionali, ma anche importanti testate nazionali creando timore e preoccupazione negli istituti di categoria per le inevitabili ricadute negative sui singoli bilanci.

In Sardegna pareva stesse verificandosi un fenomeno in controtendenza: nel luglio 2011 sono nati due nuovi giornali che si aggiungevano a un free-press e ai due quotidiani storici dell’Isola. La presenza in edicola delle nuove testate (evento decisamente positivo nel panorama editoriale con effetti importanti sulla pluralità dell’informazione) non ha di fatto spostato di molto il problema occupazionale. E nel giro di pochi mesi dall’esordio in edicola, i due nuovi quotidiani hanno manifestato difficoltà obiettive di inserimento nel mercato dell’editoria isolana: Sardegna 24, in particolare, dopo aver subito trasformazioni societarie che hanno visto il direttore responsabile diventare editore della testata, ha dovuto prendere atto delle estreme difficoltà di assicurare un equilibrio economico, anche a causa del ristretto mercato editoriale isolano, e ha interrotto le pubblicazioni. Sull’altro quotidiano gestito da una cooperativa di giornalisti non si hanno dati significativi, per cui qualsiasi considerazione sul suo “stato di salute” diventerebbe opinabile. Ciò mentre a Sardegna 1 (la tv privata di proprietà del banchiere e imprenditore turistico Mazzella) vengono annunciati licenziamenti che dimostrano come l’editoria (anche quella radiotelevisiva) sia gestita con criteri che difettano di specifica preparazione e cultura editoriale. Soltanto l’intervento del sindacato regionale e nazionale dei giornalisti è riuscito a evitare i licenziamenti, ricorrendo a contratti di solidarietà fra i dipendenti. Intanto aumenta il numero dei giovani colleghi disoccupati o precari che continuano a essere considerati, loro malgrado, “mano d’opera” a basso costo da utilizzare, come in effetti vengono spesso utilizzati da editori senza scrupoli, come strumento di pressione per contrastare richieste sindacali da parte di singoli colleghi o di intere redazioni.

Con l’azione della Fnsi (firma del contratto collettivo di lavoro in cui è contenuta, fra l’altro, la norma che dà vita al Fondo di perequazione delle pensioni; e di recente il rinnovo della parte economica del contratto); la capacità dell’Inpgi di “governare” il patrimonio previdenziale dei giornalisti; l’azione della Casagit nel rimettere in ordine i conti, nel disegnare la Cassa integrativa sanitaria di domani e nell’armonizzare le proprie esigenze di sviluppo con le potenzialità emergenti nella società e nella categoria, i giornalisti italiani hanno dimostrato di essere stati capaci di gestire nel modo migliore i propri istituti. Hanno cioè dimostrato di essere buoni “amministratori” degli interessi della categoria. Non altrettanto si può sostenere per gli editori se, come risulta dal rapporto del Censis-Ucsi sui media presentato nel 2011 al Senato, i quotidiani hanno perso in due anni il 7% di lettori (-19,2% rispetto al 2007) confermando lo scarso impegno degli editori nel migliorare la qualità dell’informazione e renderla più aderente alle esigenze della società. Gli editori sono stati in definitiva “puniti” dai lettori che probabilmente non si sono più riconosciuti nei quotidiani diventati “vetrine” di interessi politici ed economici lontani dai bisogni del Paese reale, in continua trasformazione. Un’evoluzione dimostrata anche dal fatto che, nel frattempo, sono aumentati (in alcuni casi in misura rilevante) i fruitori dei free-press e dei siti d’informazione on-line. Come è stato messo in evidenza anche dal rapporto annuale dell’Eurispes che nel 2009 ha registrato per l’industria editoriale italiana “una perdita del 4,3%”. Nel 2010, secondo il Rapporto sullo stato dell'editoria in Italia, il mercato editoriale italiano tornava a crescere, seppure di uno 0,3%, per un fatturato complessivo di 3,4 miliardi di euro. I dati contenuti nel rapporto dell’Eurispes confermano la riduzione delle copie e indicano che “la crisi economica è, senz’altro, la chiave per spiegare una simile riduzione dell’offerta”. Ma che non deve essere sottovalutato il mutamento che tutta la filiera editoriale sta attraversando, sempre più attenta alle possibilità offerte dal web e dalle tecnologie digitali. Nel solo biennio 2006-2007, ad esempio, il numero di editori che si è avvicinato alla stampa digitale è quasi raddoppiato passando dai 235 del 2006 ai 413 del 2007. Un’evoluzione, o meglio sarebbe dire, una rivoluzione nell’editoria che deve far riflettere soprattutto per gli sviluppi che è destinata ad avere nel giro di pochi anni e per le conseguenti prospettive di lavoro e di occupazione per i giovani colleghi ancora in lista d’attesa.

Non sarebbe un esercizio di onestà intellettuale se, dal canto nostro, non mettessimo in evidenza anche gli errori commessi dai giornalisti che negli ultimi anni hanno favorito, e sostenuto, l’iscrizione, nell’arco di dodici mesi, di un migliaio di nuovi professionisti andati a ingrossare le file dei disoccupati: soltanto un venti per cento scarso dei nuovi colleghi riesce infatti a trovare occupazione, il più delle volte precaria e a tempo determinato. Con l’obiettivo di fornire chance occupazionali si è invece contribuito a creare “la fabbrica delle illusioni” offrendo agli editori, su un piatto d’argento, giovani professionisti costretti a subire compensi ridicoli e lavori spesso umilianti. Non sarebbe per niente da sottovalutare una sorta di “moratoria” che blocchi per almeno due anni l’iscrizione di nuovi professionisti in attesa, ovviamente, che si definiscano i criteri di accesso alla professione e si stabiliscano nuove e più adeguate norme sugli albi professionali. Anche perché le proposte sino ad oggi ipotizzate non lasciano intravedere orizzonti chiari soprattutto sul destino riservato alla figura del pubblicista che dovrebbe sostenere l’esame di Stato e quindi essere equiparato al professionista. E, come non bastasse a completare il quadro fosco della situazione, è di questi giorni un altro dato allarmante: nel 2011 il saldo tra giornalisti usciti dal lavoro per pensione ordinaria o per crisi aziendale e giornalisti nuovi assunti è risultato negativo: - 220 unità.

Alla luce di questo desolante quadro generale, i giornalisti pensionati dovrebbero dal canto loro chiudere la polemica in corso sul cumulo degli incarichi. Che la libertà di cumulo sia stata riconosciuta da numerose sentenze della Cassazione è ormai fuori discussione: sarebbe opportuno metterci una pietra sopra. Ma sul problema è in corso un acceso dibattito che vede schierati colleghi come Franco Abruzzo (sostenitore) e Gabriele Cescutti (già presidente dell’Inpgi e attuale componente del Consiglio d’amministrazione della Casagit) il quale ha manifestato la sua preoccupazione soprattutto per “la levata di scudi che sull’ “argomento cumulo” l’Unione nazionale dei pensionati ha di recente avviato attraverso il suo bollettino, tuonando contro l’attuale limite di 20.421 euro, e lasciando presagire che nella prossima primavera, in occasione delle elezioni per il rinnovo del Cda e della Presidenza dell’Inpgi questo sarà l’argomento “forte” di confronto. Un confronto che (né questa realtà viene nascosta) punterà ad abolire del tutto il limite in vigore, non accontentandosi più di cumulare alla pensione una media mensile di 1.700 euro, ma chiedendo la totale liberalizzazione. Con possibilità di ulteriori, più ampi guadagni da parte di chi un discreto introito economico già lo può mensilmente realizzare attraverso la pensione. Credo che questa sarebbe per il precariato una conclusione sciagurata, destinata ad aumentare le difficoltà di coloro che ancora sperano, ma che sono oggi in una situazione incerta e a rischio”.

Le osservazioni di Cescutti non possono non essere condivise se inserite nel contesto in cui si dibatte la società in generale e la categoria dei giornalisti in particolare, specie in riferimento ai disoccupati e precari. Troppo spesso si cita il principio di “solidarietà” (alla base anche dell’azione preziosa e insostituibile della Casagit) solamente per riempire di retorica un concetto che, alla fine, ignora proprio l’azione solidaristica e di colleganza. Cescutti ha posto in definitiva un problema morale che i pensionati (che già godono di “un discreto introito economico mensile”) dovrebbero fare proprio. Quindi: il cumulo è legittimo e sacrosanto, spetta però alla coscienza di ciascuno di noi accettare incarichi o rifiutarli per lasciare spazi e opportunità a chi è in affannosa e drammatica attesa di un lavoro. È in sostanza giunto il momento di dedicare maggiore attenzione ed energie alla ricerca di soluzioni che vadano in favore dei pensionati meno fortunati (sono numerosi i colleghi che sopravvivono con pensioni da fame) e dei precari. Soluzioni, in sostanza, che portino beneficio agli anelli deboli della categoria e dare, in nome e nello spirito della solidarietà, una prova tangibile di acquisizione di responsabilità e di senso civico.

Il Gruppo Sardo dei Giornalisti Pensionati ritiene infine di dover sottolineare l’importanza delle linee fondamentali che caratterizzano la strategia dell’Unione nazionale giornalisti pensionati così come sono emerse dal quinto congresso (gennaio del 2011) dell’Ungp di Bergamo. Linee guida che riguardano in particolare i prepensionamenti, l’adesione dell’Unione all’azione del sindacato sui fronti più esposti: solidarietà, difesa dei giovani e dei precari, salvaguardia dell’Inpgi e della Casagit. Particolare attenzione, l’Ungp rivolge al Fondo di perequazione: una conquista della categoria resa possibile dall’impegno dell’Unione pensionati. Il Fondo (come riconosciuto dal Consiglio di amministrazione dell’Inpgi e ratificata dai Ministeri vigilanti) è uno strumento a favore di tutti i pensionati, quelli di oggi, ma ancor più quelli che in futuro lasceranno il lavoro con trattamenti pensionistici inferiori a quelli attuali. Il Fondo di perequazione deve quindi essere seguito con la dovuta attenzione dai giornalisti pensionati nei tempi tecnici e nella dinamica della sua fase di attuazione.

Il Gruppo Sardo dei Giornalisti Pensionati si riconosce in questa linea e la fa propria e, nei limiti delle proprie forze e possibilità, auspica che possa proseguire con rinnovata energia l’azione sindacale a sostegno degli anelli deboli della categoria: i pensionati, in particolare chi sopravvive con pensioni da fame, e i precari che vedono allontanarsi le prospettive di una vita professionale dignitosa e adeguata al ruolo che devono pretendere se vogliono essere credibili, autonomi e liberi da pressioni e condizionamenti.