27.01.2011
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E Polis,
caccia ai responsabili del crac
Vi riportiamo integralmente l’articolo
apparso oggi sul quotidiano “L'Unione Sarda” sul fallimento del Gruppo E Polis. Aperta
un'inchiesta penale sul fallimento da 108 milioni. I pm aspettano ora la
relazione dei curatori nominati dal Tribunale che il 14 gennaio ha
dichiarato il fallimento della testata nata nel 2004. Il Tribunale ha
trasmesso la sentenza del 14 gennaio e la Procura della Repubblica ha
immediatamente aperto un fascicolo. Il fallimento della società editrice
E Polis che per sei anni ha pubblicato 19 testate free press in tutta
Italia (due in Sardegna, a Cagliari e Sassari) rischia seriamente di
sfociare in un'inchiesta per bancarotta. Le carte su uno dei crac che,
per la consistenza delle perdite accumulate in pochissimo tempo, pare
sia uno dei più imponenti d'Italia, sono sulla scrivania del procuratore
capo Mauro Mura che si occuperà della vicenda personalmente insieme al
sostituto Giangiacomo Pilia. Il fascicolo, per il momento su fatti non
costituenti reato, non cambierà intestazione fino a quando i curatori
fallimentari non consegneranno la relazione sullo stato passivo.
Soltanto allora l'indagine si trasformerà in una vera e propria
inchiesta per bancarotta con l'iscrizione degli amministratori che
saranno ritenuti responsabili della gestione fallimentare nel registro
degli indagati. I DEBITI Stando a quanto aveva dichiarato non molto
tempo fa la stessa E Polis ai rappresentanti del sindacato dei
giornalisti, i debiti accumulati in sei anni di attività ammontano a 108
milioni di euro. Un'enormità. Ecco perché il Tribunale fallimentare ha
respinto la richiesta di concordato preventivo avanzata dagli
amministratori del giornale dichiarando nel contempo il fallimento. Si
sa per certo che la società editrice non ha mai versato la quota del tfr
dei lavoratori al fondo unitario dell'Inpgi che vanta crediti per 4
milioni di euro, un milione è invece il debito nei confronti della
Casagit. Non solo: il comitato di redazione ha denunciato pubblicamente
che le quote del mutuo casa trattenute sulle buste-paga di alcuni
dipendenti non sono mai state versate all'istituto di previdenza. Sono
118 i giornalisti rimasti senza lavoro, 45 dei quali sardi, tutti in
cassa integrazione insieme ai 40 poligrafici e ai dipendenti di
Publiepolis, la società pubblicitaria. LA STORIA E Polis ha iniziato le
pubblicazioni il primo ottobre 2004: si chiamava il Giornale di Sardegna
e usciva solo a Cagliari. Il capoluogo sardo era stato invaso con una
distribuzione gratuita capillare, il giornale andava in vendita pure
nelle edicole a 50 centesimi. L'anno dopo l'iniziativa era stata
replicata a Sassari, quindi, nel 2006 il free press fondato da Nicola
Grauso aveva varcato il Tirreno con sei quotidiani nel Veneto e due in
Lombardia. Pochi mesi dopo era partito pure il telelavoro: a Roma,
Milano e Napoli non c'erano redazioni. Computer e cellulare, i
giornalisti lavoravano da casa. Il quotidiano intanto soffriva, i debiti
si accumulavano e, il 17 luglio 2007, Grauso aveva dato forfait: in meno
di tre anni i debiti erano saliti a 40 milioni. Così erano state
interrotte le pubblicazioni e i dipendenti erano finiti in cassa
integrazione per un mese. Poi, a settembre, il giornale era passato
nelle mani dell'imprenditore trentino Alberto Rigotti e per qualche mese
nella compagine societaria figurava anche il senatore del Pdl Marcello
Dell'Utri. L'EPILOGO Nonostante la crisi sempre più grave venivano
aperte redazioni in altre città italiane e, alla fine del 2009, le
edizioni erano 19. Contemporaneamente si moltiplicavano i debiti. Gli
amministratori avevano cercato di correre ai ripari attivando una
procedura particolare che avrebbe consentito la ristrutturazione del
debito ma il Tribunale, viste le carte, aveva detto no. L'epilogo nel
luglio scorso con la definitiva chiusura. A quel punto erano state
presentate diverse istanze di fallimento: sono bastate quelle dei
proprietari della sede cagliaritana e dell'ex direttore finanziario, che
vantano crediti per 500.000, per convincere il Tribunale a dichiarare il
fallimento.
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